Quella appena passata è una delle notti più magiche dell’anno, notte di riti, di cummar e cumbar a fjur, notte di ramajetti e di antiche e rinnovate promesse, notte di fiori in attesa della rugiada del mattino. E’ la notte di San Giovanni in cui noi donne prepariamo la cosiddetta “acqua di San Giovanni” con la quale il giorno dopo bagnamo i nostri corpi con l’auspicio di cancellare i dolori che il tempo e la vita purtroppo ci lasciano.
La tradizione racconta che ben 24 devono essere i fiori colti nelle campagne e le erbe aromatiche dell’orto, con cui preparare l’acqua “miracolosa” e fra questi non devono mancare lavanda, iperico, rosa, rosmarino, pervinca, salvia, alloro, mentuccia, basilico. Il tutto va messo in un recipiente di coccio, lasciato decantare e illuminato dalla luce della luna. La mattina dopo con quell’acqua ci si bagnano le mani e le varie parti del corpo per togliere i dolori. Un tempo le donne inoltre usavano mettere un po' di acqua e qualche petalo in piccole tazze da donare a sorelle ed amiche.
Il rito dell’acqua di San Giovanni è accompagnato da un altro cerimoniale legato a questo magico giorno.
Molti di noi avranno sentito sicuramente parlare della “Cummare a Fiur”, un vero e proprio rituale che, un tempo, andava a celebrare l’affetto e l’amicizia che legavano due persone.
La cummare e il cumbare a fiur era un legame di comparatico, consacrato al Santo, attraverso il quale sino a non molto tempo fa, si andavano a creare rapporti talmente forti da essere quasi superiori a quelli fra fratelli e sorelle.
Sempre secondo la tradizione nel giorno di San Giovanni si sceglieva una persona per la quale si provava un sentimento particolarmente forte che non doveva essere necessariamente amore, ma anche semplicemente amicizia. Questa persona diveniva appunto il Compare o la commara a fiore (Cumbare cummare a fIur), alla quale, per il tramite dei ragazzi del posto, si doveva donare un mazzolino di fiori, “Lu ramajett”, composto dalle erbe spontanee quali fiori di sambuco, rosa selvatica, spiga di lavanda, felci e spighe di grano. A questo si univano altri doni, fra i quali non potevano mancare l’immagine di San Giovanni, un fazzoletto ricamato, un biglietto di auguri, ornamenti per capelli, una veletta per il capo, una boccetta di profumo e dei dolci.
Il messaggero consegnava il mazzolino al destinatario indicando il nome di chi l’aveva inviato. L’accettazione del dono significava aver accolto l’impegno al comparaggio. Il successivo 29 giugno poi, nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, il prescelto sugellava definitivamente il rapporto rispondendo con l’invio di un altro Ramajetto.
Il legame che si andava a creare era molto forte, così tanto da determinare una specie di parentela allargata. Affettuosamente i due compari o le due commari si chiamavano fra di loro “lu sangiuanne” che diveniva un vero e proprio protettore, pronto ad intervenire soprattutto nei momenti di necessità. La violazione di tale legame era ritenuta sacrilega, tant’è che la formula che i due recitavano da’ il senso del forte sentimento che doveva esserci fra i due “Cumbare mio cumbare, n ce diceme male che se male ce diceme a le mberne ce ne jieme”.
Il rito del San Giovanni ha ovviamente origini pagane, ma pare che sia stato scelto proprio questo giorno perché San Giovanni è colui che ai piedi della croce fu indicato da Gesù come suo fratello, con un vincolo non di sangue, ma di elezione al fine di aiutare Maria nella sua pena.
E allora a tutti non posso che rivolgere il mio augurio di trovare ancora oggi il proprio Compare o la propria Commare a fijur.