“Amami Teatro – in scena e fuori scena, giorno e notte” è il ciclo che si è tenuto dal 13 al 18 dicembre che ha calcato le scene del Teatro Marrucino a Chieti. Tra gli eventi di questa settimana l’incontro con Simona Anedda e Claudio Bottan organizzato da Voci di Dentro, protagonisti anche di un incontro precedente con gli studenti dell’ITCG Galiani De Sterlich.
Simona Anedda e Claudio Bottan vivono e raccontano una «storia semplice e straordinaria» di chi è segnato dalla malattia e dalla detenzione e insieme stanno superando tante barriere della società odierna. Simona anni fa ha scoperto di «essere malata di sclerosi multipla progressiva e comincia a paralizzarsi fino a non poter camminare più, a non usare le braccia», Claudio «con l’esperienza di anni di carcere, cerca di vincere la “carcerite” con la scrittura, e collabora a riviste e giornali perché sente che scrivere è un mondo che non lo giudica per quello che ha fatto (come la società) ma per quello che vale, le sue aspirazioni, la verità che racconta, e come la racconta» presenta i due protagonisti dell’incontro Voci di Dentro. Claudio «un giorno deve raccontare di Simona in un’intervista – prosegue la presentazione di Voci di Dentro - lui e lei si conoscono ma quello che nasce non è solo un articolo ma un cammino» in quanto «capiscono di avere in comune molte cose: paura e voglia di vincere il pregiudizio, sfida di ricominciare per essere visti oltre l’apparenza o le etichette: malata e disabile lei, che però vuole viaggiare, ex detenuto lui, che vuole rifarsi una vita».
Un incontro emozionante e che è giunto al cuore di chi ha partecipato, due storie che si sono intrecciate e sono in viaggio scuotendo e imponendo interrogativi importanti. Spazzando via pregiudizi e preconcetti. Riassunti nella riflessione di Antonella La Morgia, collaboratrice di Voci di Dentro, sulla «tristezza» che ascoltando Simona e Claudio si mette da parte superando «quel fondo di precipizio dove buttiamo la sfortuna degli altri sentendoci al sicuro» e arrivando «tutti sopra, a tenerli, a tenerci forte per mano».
«La tristezza non ci piace e la sofferenza altrui ci mette a disagio – scrive Antonella La Morgia - non è vero che ci voltiamo verso chi “è caduto in disgrazia”: una frase che racchiude il nostro posto privilegiato, di chi sta in alto e vede chi invece è andato a fondo, giù giù nel baratro del precipizio, nel cono d’ombra sotto al burrone». «Non è vero che ci voltiamo a guardare, a conoscere le storie tristi, a farci coinvolgere ed entrare nei misteri della miseria, di qualunque tipo, nelle stanze chiuse delle malattie, della disabilità e della sofferenza altrui» e «che può esserci - se riconosciamo che ci siano persone - dietro il giro di chiavi di una cella», «non è vero che siamo empatici, altruisti, capaci anche di laica misericordia. Non ci voltiamo a guardare i caduti, gli ultimi e il prossimo in difficoltà. Più spesso a queste persone voltiamo le spalle, tiriamo dritto, come si fa sollevati appena è verde il semaforo, dove qualcuno ci ha chiesto l’elemosina premendo la sua mano sul finestrino chiuso della nostra auto» la riflessione di La Morgia. Che sottolinea il bisogno di «colorarla la tristezza, truccare i poveri e gli infermi, avvolgere di letterarietà la malattia mentale, il carcere, perché ci piacciano le storie al di sopra delle persone che le vivono, e che non abbiamo il coraggio di vedere» ed è la riflessione che suscita la «storia semplice e straordinaria senza trucchi e finzioni, senza copioni preparati» di Simona Anedda e Claudio Bottan: «Simona Anedda parla della malattia, del suo corpo prigioniero della sclerosi multipla che lei libera facendo viaggi sulla sua sedia a rotelle e liberando altri disabili dalla paura di uscire e fare i turisti» e «Claudio non si nasconde dietro l’esperienza di essere stato in carcere, prigioniero anche lui, racconta il perché, il come, e quando è iniziato un nuovo Claudio che scrive e ricomincia a vivere. Perché scrivere è la sua vita».
Questo il racconto degli incontri di Chieti affidati ai social dai due protagonisti di “In viaggio con Simona”.
«Di ritorno dalla tappa abruzzese del nostro tour, portiamo con noi gli sguardi delle persone che sono venute ad ascoltarci. I ragazzi dell’ITCG Galiani De Sterlich di Chieti, e poi gli adulti che hanno scelto di regalarci il proprio tempo in una giornata uggiosa. Potevano starsene a casa davanti al camino, invece hanno deciso di ascoltare una storia semplice al Teatro Marrucino di Chieti qualcosa è accaduto, forse una di quelle contaminazioni che alimentano il nostro bisogno di sentire che tutto ha un senso e nulla accade per caso. E qualcuno ci regala parole. "Non credo che le cose accadano per caso, credo ci sia un filo sottile, invisibile, se non a pochi, a chi crede nei segni, a chi crede che ci sia un solo modo di trovarsi interi: mano contro mano. Esistono tanti modi per sentirsi in prigione, chi in un corpo, chi tra le umide pareti di un carcere. Alla radice la stessa urgenza di trovare una via d'uscita, una che possa valere la pena percorrere per trovare la libertà, quella vera. Un corpo. Un corpo”. Grazie ai nostri amici di Voci di Dentro per aver ospitato una storia semplice, speriamo di essere riusciti a trasmettere qualche emozione».
E questo il resoconto e riflessione personali di Claudio Bottan.
«Ci sono persone che hanno scelto di regalarci il proprio tempo in una giornata uggiosa. Potevano starsene a casa davanti al camino, invece hanno deciso di ascoltare una storia semplice al Teatro Marrucino di Chieti. Qualcosa è accaduto, forse una di quelle contaminazioni che alimentano il nostro bisogno di sentire che tutto ha un senso e nulla accade per caso. E ci regalano parole "Non credo che le cose accadano per caso, credo ci sia un filo sottile, invisibile, se non a pochi, a chi crede nei segni, a chi crede che ci sia un solo modo di trovarsi interi: mano contro mano. Esistono tanti modi per sentirsi in prigione, chi in un corpo, chi tra le umide pareti di un carcere. Alla radice la stessa urgenza di trovare una via d'uscita, una che possa valere la pena percorrere per trovare la libertà, quella vera. Un corpo. Un corpo. Io ci credo nei segni, tanto tanto. Soprattutto credo alle parole che non fanno in tempo a venir fuori, all'urgenza di urlare e non poterlo fare, alla necessità d'esser visti, finalmente, interi, anche dall'altro. Un corpo. Un corpo. Fuori. Dentro. Ci sono. Mi vedi? Riesci a vedermi? Ci sono anche io. E tornare a capire com'è vivere non più all'angolo, non più di vertigini, ma di nuovo di sogni, perdono, voglia di non credere sia tutto finito. Ci sono anche io. Riesci a vedermi, adesso? Provo a scrivere. Siamo tutti un po' te, siamo tutti un po' me. Liberi o in prigione, comunque umani. Un incontro bellissimo. Mi porto nel cuore tanto. Torno a casa più intera"».