"Saremmo pronti ad accettare un sindaco musulmano?"

Dopo l'elezione di Mamdami a New York l'interrogativo posto da Nicola Tamburrino, sottoilcielo

redazione
09/11/2025
Cultura
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A New York la religione non è un ostacolo alla leadership.
Nella città dei grattacieli e dei mille accenti, musulmani, cattolici, ebrei o atei possono amministrare quartieri e distretti senza che la fede diventi un fattore divisivo.
Conta ciò che fai per la comunità, non dove preghi.

Ma se scendiamo lungo la mappa fino all’Italia, fino a noi — nel cuore della zona frentana — la domanda resta scomoda e profonda:
saremmo pronti, oggi, ad accettare un sindaco musulmano?

Da New York al Frentano: due mondi, una sola sfida

New York è un mosaico di diversità.
Il Frentano, invece, è una terra di radici: qui le famiglie si conoscono da generazioni, i cognomi si tramandano, e i campanili disegnano il profilo dell’identità.

Eppure, negli ultimi vent’anni, anche le nostre città sono cambiate.
Tra Lanciano, Fossacesia, San Vito, Atessa e Casalbordino, vivono oggi centinaia di famiglie provenienti da Marocco, Albania, Tunisia, Senegal.
Lavorano nei campi, nei cantieri, nei ristoranti.
I loro figli frequentano le scuole, parlano il nostro dialetto, tifano le nostre squadre.

Sono parte del tessuto umano della zona frentana.
Eppure, per molti, restano ancora “gli altri”.

L’accoglienza deve camminare insieme al rispetto

C’è una verità che non si può ignorare: chi viene in Italia deve rispettare l’Italia.
Non si tratta di pretendere assimilazione culturale, ma di condividere i principi fondamentali che tengono insieme questa nazione — la libertà, la laicità, la dignità della persona, il rispetto delle leggi e dei diritti.

Accogliere non significa cancellarsi, e integrarsi non significa snaturarsi.
È un patto reciproco: chi arriva trova una casa, ma accetta anche le regole di quella casa.

Perché la convivenza non può essere un gesto unilaterale.
Ha bisogno di reciprocità: rispetto per chi accoglie, rispetto per chi viene accolto.

L’errore dei due estremi

Da una parte c’è chi rifiuta a priori l’idea di un sindaco musulmano.
È l’errore della paura, del pregiudizio, della chiusura.
Dall’altra parte, però, c’è chi considera l’accoglienza come un atto automatico, dimenticando che la libertà si regge su valori condivisi.

Un sindaco, qualunque sia la sua fede, deve prima di tutto servire la comunità italiana e riconoscersi nella sua Costituzione.
La religione non è un ostacolo, ma non può diventare nemmeno un alibi per ignorare le leggi o i principi civili che ci uniscono.

L’Italia è laica, ma non è senza memoria.
Le sue radici cristiane, la sua cultura umanista e la sua storia sono parte di ciò che siamo.
Chi vuole rappresentarci deve conoscerle e rispettarle.

Il patto del rispetto reciproco

Accoglienza non è resa.
Integrazione non è cancellazione.
Il rispetto, per essere vero, deve funzionare in entrambe le direzioni.

Da parte nostra, serve non giudicare una persona per la sua religione.
Da parte loro, serve non pretendere di cambiare le regole fondamentali della nostra società.

A New York questo equilibrio funziona: un politico musulmano può giurare sulla Costituzione americana e servirla fino in fondo, pur restando fedele alla propria fede.
È la dimostrazione che religione e appartenenza nazionale possono convivere, ma solo se entrambe le parti riconoscono la stessa casa comune.

Un sindaco musulmano in Abruzzo?

Immaginiamo un cittadino di origini straniere nato qui, cresciuto nelle nostre scuole, impegnato nel volontariato, stimato dai suoi concittadini.
Ama questa terra, parla la nostra lingua, rispetta le leggi, si riconosce nella Costituzione e vuole contribuire al bene comune.

In questo caso, perché no?
Sarebbe un segno di maturità civile e democratica.

Ma se un candidato, qualunque sia la sua fede, mostrasse disprezzo per l’Italia, per le sue leggi o per i diritti fondamentali, allora il problema non sarebbe la religione, ma la mancanza di appartenenza.
L’identità non è una bandiera da esibire, ma un impegno da vivere.

Lezione da New York

New York ci insegna che l’identità non si difende alzando muri, ma condividendo regole.
È una città dove un imam può dialogare con un rabbino, un prete con un laico, e dove la fede non limita la cittadinanza.
L’Italia, e il nostro Frentano, possono fare lo stesso — a patto di mantenere ferma la bussola dei valori comuni.

Chi vuole vivere qui deve sentirsi parte di questa terra, rispettare la libertà delle donne, la scuola pubblica, la laicità delle istituzioni, la dignità delle persone.
Solo così la diversità diventa ricchezza, e non conflitto.

Conclusione

Un giorno, forse, anche nella zona frentana potremmo avere un sindaco musulmano.
E sarà un bel giorno — se quella persona amerà l’Italia come casa sua, ne rispetterà le regole e servirà tutti i cittadini con onestà.

Solo allora il suo credo non sarà più una barriera, ma una risorsa.
Perché non si è italiani per nascita, ma per responsabilità.

Il rispetto reciproco — non la religione — è il fondamento di ogni società libera.
E la vera fede, alla fine, non divide mai: unisce, costruisce e fa crescere.

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